Alessio Dionisi, allenatore del Sassuolo, ha rilasciato una lunga intervista a Fanpage.it. Il tecnico neroverde ha raccontato il suo primo anno da allenatore in Serie A, le tre storiche vittorie in casa di Juve, Milan e Inter, ma anche le difficoltà incontrate e il suo passato. Ecco le sue parole: " Sinceramente non ho aggettivi per definire il mio primo anno in Serie A, preferisco li usino gli altri. Per quanto mi riguarda è un’esperienza importante. Finché non si vive una situazione del genere non c’è la possibilità di mettere in pratica le idee che si hanno. Soprattutto di vivere l’esperienza della sconfitta, della gestione del gruppo. Per me è qualcosa di nuovo e la metto molto volentieri nel mio bagaglio".
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Si aspettava di vincere in casa di Juve, Milan e Inter al suo esordio in A oppure non era nemmeno nei suoi sogni più rosei?
"Sinceramente non è che mi piaccia tanto sognare ma non mi pongo né obiettivi a lungo termine né limiti. Vivo alla giornata, e sto facendo lo stesso anche qui al Sassuolo. Un allenatore allena il presente con un occhio al futuro. Per quanto riguarda queste partite non avrei pensato di vincerle, non lo immaginavo, poi agli occhi esterni valgono più di tre vittorie ma, lo dico molto sinceramente, per quanto mi riguarda valgono esattamente tre vittorie. Forse la cosa più importante è la consapevolezza, che vale molto di più. Quando riesci a vincere, anche a detta degli avversari, meritando o comunque non demeritando ti dà una consapevolezza importante, soprattutto l’ultima fatta con l’Inter. In questo campionato di big ce ne sono tante rispetto a noi e non con tutte siamo stati efficaci allo stesso modo: ora abbiamo altre 8 partite da affrontare e sarebbe bello riuscire a dare continuità, visto che più della metà le giocheremo con squadre sopra di noi in classifica".
Quanto era stimolante e quanto la preoccupava raccogliere il testimone di De Zerbi?
"Preoccupare no, però è una sfida che ho accettato con grande entusiasmo. Era una motivazione in più per sapere se ero all’altezza, non di De Zerbi, ma di un club così importante. Poi bisogna dire che questa squadra è stata un pochino stravolta rispetto all’anno scorso, perché quando perdi 3/4 titolari come Marlon, Obiang, Locatelli e Caputo non è poco per noi. A questi ci possiamo aggiungere Boga, che abbiamo perso a gennaio ma la situazione si era già sviluppata in precedenza. Realmente non ho mai vissuto De Zerbi come la spada di Damocle su di me ma come uno stimolo per accettare il Sassuolo e allenare giocatori che avevano già fatto bene. Perché un tecnico non può fare bene senza giocatori bravi. L’allenatore ha la sua importanza, sul suo peso, ma nessuna squadra ha raggiunto i suoi obiettivi senza avere dei giocatori bravi. Se il Sassuolo ha fatto bene negli anni scorsi il merito va alla società, all’allenatore e alla qualità dei giocatori: se il Sassuolo farà lo stesso anche quest’anno vuol dire che tutte le cose hanno funzionato. Le componenti sono tante".
C’è stato qualcosa che non ha funzionato con l’Empoli dopo la promozione o la chiamata del Sassuolo era un’occasione da non perdere assolutamente?
"Direi la seconda. Realmente non è stata solo la possibilità di allenare una realtà importante come il Sassuolo, che sta dimostrando cos’è e si sta ritagliando uno spazio per la piccola realtà che rappresenta. Merito alla proprietà e di chi ne fa parte da tanti anni. Allo stesso tempo posso dire che da parte mia non ci sono stati problemi con l’Empoli, da parte loro può darsi che quando un allenatore se ne va possano restare un po’ di strascichi. Il tempo dirà poi quanto di vero c’è stato in tutto questo ma è stata meno polemica di quanto possa sembrare. Per me era un’opportunità andare al Sassuolo e poi c’era un’idea societaria che non condividevo in pieno: non c’era una linea comune dopo un campionato vinto da primi in classifica quando l’obiettivo era quello di fare i playoff. Credo che un allenatore abbia voce in capitolo sempre nel rispetto della società, che c’era, c’è e ci sarà: gli allenatori spesso non finiscono la stagione ma sono quelli che fanno delle scelte, che si riversano sulla società e su di loro. Quando si prendono delle decisioni ci si assume la responsabilità di ciò che viene dopo e il tempo dirà se sono state giuste o meno".
‘Giocare, riconoscerci e ottenere risultati': queste le sue parole il giorno della presentazione. La stagione non è ancora finita ma volevo sapere se pensa di essere riuscito in questo suo obiettivo iniziale.
"Sul giocare non avevo dubbi perché è una squadra che già lo faceva, magari in maniera diversa da quest’anno perché abbiamo cercato di mantenere la qualità ma con qualche differenza in base alle caratteristiche dei giocatori che abbiamo. Riconoscersi, secondo me ci stiamo arrivando perché non sempre lo abbiamo fatto. Ci sono dei passaggi da fare, dopo che si è cambiato l’allenatore e qualche giocatore bisogna prendersi del tempo: la volontà e la disponibilità di fare le cose c’è ma ci sono gli avversari e in qualche caso non siamo riusciti ad essere ciò che volevamo. Ma siamo a buon punto. Sui risultati, se devo essere onesto, sono al di sopra delle mie aspettative in questo momento. Non credo al di sopra delle potenzialità che abbiamo ma forse avrei firmato e non ci avrei nemmeno creduto che a questo punto avremmo avuto 43 punti. Fermo restando che mancano 8 partite e alla fine non parleremo di quanto fatto fino alla 30a, e nemmeno delle tre vittorie contro le big, ma di altre situazioni, che possono essere delle sconfitte o di una mancanza di continuità".
C’è sempre grande dibattito in merito alla costruzione dal basso: ma davvero sono più i rischi che i benefici, come afferma una parte della critica italiana?
"Ora si va verso questa direzione, ma appena le cose non tornano ci si snatura un po’. Per quanto mi riguarda non sarà così, altrimenti rinnegherei quello che ho sempre detto perché io allenavo in Serie D così e grazie a fortuna, giocatori e risultati sono arrivato in Serie A. Ci manca solo che per un risultato vado contro a quello in cui credo, perderei di credibilità. Secondo me, i giocatori si riconoscono di più a giocare e si esaltano nelle loro qualità ma è normale che se i calciatori hanno alcune caratteristiche si possono stimolare certe cose, se ne hanno un pochino meno e hanno altre doti bisogna lavorarci di più. Io credo che i calciatori più toccano la palla e più hanno modo di crescere e di migliorarsi, perché la crescita del giocatore va di pari passo con l’obiettivo della squadra. È difficile che migliorino perdendo continuamente però non è che la vittoria è più importante della prestazione. Ogni squadra deve raggiungere un equilibrio tra prestazione e risultato. Poi c’è qualche squadra che trascura la prestazione per il risultato ma mi piacerebbe pensare che per la squadra che alleno non succeda mai. Bisogna convincersi che il risultato passa attraverso la prestazione e il giocare è un modo per permettere ai giocatori offensivi di determinare di più".
Senza parlare del surreale dibattito tra giochisti e risultatisti?
"Non parteciperei a questo perché chi lavora nel calcio non può prescindere dal risultato ma non sono due categorie in antitesi. Non esiste nessuno che vuole sentirsi dire che gioca bene e vuole perdere, si gioca per ottenere un risultato. Per quanto mi riguarda, noi giochiamo perché abbiamo le qualità per farlo e attraverso queste caratteristiche possiamo ottenere un risultato perché altrimenti saremmo dei polli a fare certe cose. Bisogna essere bravi tutti ad ottimizzare ciò che si ha, perché non esiste la perfezione a meno che non si possa scegliere il meglio. Per me giocare porta ai risultati, non è che a prescindere c’è il risultato. È normale che si giochi per il risultato, ma possiamo ottenerlo in un certo modo o in un altro. Per me è una follia non ottenerlo trascurando la qualità dei giocatori che si ha".
Venezia, Empoli e ora Sassuolo: le sue squadre hanno sempre lavorato molto, e bene, nella fase di pressing. Quanto è importante questo tipo di situazione nel suo modo di vedere il calcio?
"È molto importante. Per quanto mi riguarda se una squadra riesce ad organizzarsi, a riconoscersi, in tutte le fasi di gioco poi riesce ad essere più aggressiva. Qua ci è voluto più tempo, e ce ne vuole ancora. Mi sono messo io a disposizione dei giocatori perché la qualità per giocare c’è e l’hanno dimostrato. La pressione porta un risultato se si è corti perché se la squadra è lunga diventano tutti duelli individuali mentre la pressione deve essere supportata da tutta la squadra. All’inizio ci lavoravamo di meno ed eravamo più focalizzati sulle nostre qualità perché eravamo un pochino lontani: ora con un po’ di disponibilità e consapevolezza ci stiamo lavorando un po’ di più. Questo rientra tra gli obiettivi a breve, medio e lungo termine che deve porsi un allenatore, fermo restando che di lungo termine non si può parlare in una squadra di calcio se non si raggiungono obiettivi a breve termine. In questo il Sassuolo è una società atipica e un po’ più lungimirante e per questo un allenatore si può permettere di pensare al medio-lungo non trascurando il breve".
Si parla sempre di più di Scamacca e Frattesi in orbita dei grandi club. Sono pronti per il salto oppure gli consiglia di prendersi il tempo necessario per crescere?
"Hanno delle qualità? Assolutamente sì. Stanno facendo bene? Altrettanto vero. Io credo che serva di più. Esperienza non ne hanno, entusiasmo tantissimo e qualità anche: se possono bastare, allora sì. Ma non sta a me dirlo, io sono l’allenatore del Sassuolo e me li tengo stretti, come tutti gli altri. Stanno facendo molto bene perché stanno giocando con continuità, la squadra sta facendo bene: merito loro e dei compagni che li mettono nelle condizioni giuste. Se saranno all’altezza di altri palcoscenici non sta a me dirlo perché per me sono all’altezza del Sassuolo. Per quello che stanno facendo ci sta che delle società li possano notare ma, all’atto pratico, non so che interesse ci sia intorno ai due ragazzi".
In che modo ha aiutato Traorè a cambiare marcia all’inizio del 2022?
"La sua testa è cambiata e spero che rimanga tale. Si è reso conto che può fare la differenza nella sua carriera se migliora a livello mentale. Le qualità sono indiscusse e gliele riconoscono tutti ma quello che poteva dare io non l’avevo mai visto davvero fino a dicembre, da quel momento ho visto un giocatore diverso. Che voleva guadagnarsi le cose e non pretenderle. Lui, pur essendo giovane, ha già un buon trascorso e spero che questa lezione possa servirgli. Giocatori con qualità ce ne sono tanti ma quelli che riescono ad andare oltre non sono tutti: per fare la Serie A ci vogliono delle qualità, per la B ce ne vogliono altre. Il calcio è uno sport molto competitivo, per emergere e confermarti non bastano solo quelle. Pochissimi ci riescono. Junior in questo è cresciuto. Stiamo parlando di pochi mesi, quindi dovrà confermare questo suo momento per dire di essere cambiato. È scattato qualcosa. C’è il merito di tante componenti? Può darsi. Io ho parlato tanto con Junior, ma come faccio con tutti i ragazzi. Un allenatore deve essere credibile con tutti perché non posso trascurare la crescita di tanti per un singolo. Dopo lo sfogo di Torino poteva succedere altro, da parte di tutto l'ambiente, ma il primo a capire la situazione è stato lui e di conseguenza anche noi lo abbiamo gestito in maniera diversa“.
Il Sassuolo ha perso le ultime due gare contro la Juventus in Coppa Italia per 2-1 e la Sampdoria in campionato per 4-0: come si gestiscono due sconfitte così diverse tra loro e in che modo ci si relaziona col gruppo.
"Non arrivi a gestire un gruppo in un momento negativo se non hai seminato prima. Poi c’è la coerenza con il modo in cui hai seminato. La credibilità deve essere fondamentale per chi prende decisioni per un gruppo. Queste due sconfitte sono state gestite in modo diverso perché ci sono tante situazioni da tenere in considerazione. Non tutti i risultati, ancora di più le sconfitte, possono far perdere la credibilità e la coerenza ad un allenatore. Non sacrificherei mai la credibilità per il risultato. Tra la credibilità e il risultato io preferisco la prima, fermo restando che te la devono riconoscere gli altri. Si gestisce nel modo in cui ci si è arrivati: se i giocatori fanno in campo quello che l’allenatore si aspetta, i compagni fanno in campo quello che gli altri si aspettano, il tecnico si deve assumere la responsabilità totale di quello che è successo. Poi si analizza perché alcune cose sono state fatte meno bene ma non tutte le sconfitte vengono analizzate allo stesso modo perché hanno una madre diversa. La cultura italiana ci fa pensare che la vittoria sia l’esaltazione di tutto e la sconfitta è vista solo come una depressione, quando tante squadre dopo aver vinto hanno perso tutto e per altre è successo il contrario”.
Il Sassuolo lo scorso anno ha firmato uno storico ottavo posto: ora siete a -4 dalla Fiorentina, puntate a migliorare quel piazzamento?
"La Fiorentina ha 4 punti in più, una partita in meno ed è una squadra molto forte. Il nostro obiettivo, onestamente, non è quello di eguagliare o migliorare le stagioni precedenti ma fare il massimo sapendo da dove siamo partiti. Chi ambisce a fare bene guarda chi sta davanti e ci sta appena dietro. Ho sempre fatto così. Quando eravamo 14° guardavo la 15a, la 16a e la 13a. Ora che siamo noni guardo l’ottava, la decima e l’undicesima. Quello che stiamo facendo è molto positivo ma mancano tante partite e tanti punti. C’è la possibilità di migliorarsi, confermarsi e peggiorare. Giocheremo contro squadre che stanno sopra di noi e non dipende solo da noi. Se saremo bravi potremmo ambire a qualcosa in più ma se lo saremo un pochino meno già confermarci sarebbe straordinario. Fino ad un mese fa nessuno credeva che avremmo potuto ottenere questi risultati in così breve tempo. Viviamo il presente pensando che il futuro lo possiamo determinare".
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