Giacomo Raspadori, attaccante del Sassuolo, si è raccontato ai microfoni di SportWeek, settimanale in edicola con La Gazzetta dello Sport. Dopo le piccole anticipazioni di ieri, ecco le dichiarazioni complete del calciatore neroverde che ha parlato di moda ma ha parlato anche del suo modo d'essere, del futuro, del suo carattere e di tanto altro ancora.
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Sei davanti alle due donne più importanti della tua vita: cosa ti ha dato una, e cosa ti sta dando l’altra?
“Se vengo visto come una persona equilibrata è merito loro. Mia madre mi ha dato l’energia per approcciarmi nella maniera giusta agli altri, con l’intenzione di trasmettere loro quello che sono”.
Perché usi proprio il termine “energia”?
“Perché parlo di positività, di disponibilità e rispetto verso il prossimo. Sono cose che lei mi ha passato in maniera quasi naturale, e che mi sono rimaste dentro. Anche con l’esempio: mamma è volontaria in una comunità di recupero per tossicodipendenti, mi ci portava che ero ancora ragazzino. Quelle visite mi hanno fatto capire, intanto, quanto fossi fortunato; poi, che troppo spesso ci concentriamo, sbagliando, su ciò che ci manca, dando per scontato quello che abbiamo. Io ho imparato a essere felice per le cose che ho, più che essere triste per quelle che mi sfuggono”.
Elisa?
“È stata un colpo di fulmine. Ci siamo conosciuti in estate a Riccione e il destino ha voluto che ci incontrassimo, perché, pur andando sempre entrambi nello stesso posto, ci passavamo le vacanze in periodi diversi. Invece quell’estate i miei decisero di cambiare date e noi due finimmo per incrociarci su un campo di beach volley. Lei è il mio ago della bilancia: nei momenti positivi mi spinge a dare ancora di più. In assoluto, se sono così vero e spontaneo, è anche perché so che a lei piaccio in questa maniera”.
E poi?
“E poi, vabbè, è amore. Anche se sono così giovane, quando è amore lo riconosci. Lo capisco dal fatto che, quando non sono con lei, sento che mi manca qualcosa. Le mie possono sembrare frasi a effetto, in qualche modo “costruite” per l’occasione, proprio perché un sentimento così grande può sembrare eccessivo alla nostra età, ma non è altro che la realtà”.
Elisa, ma c’è qualcosa in cui Giacomo ti fa arrabbiare? (Lei sorride e arrossisce un poco)
“È davvero bravo, mi aiuta in tutto. C’è un’unica cosa: i panni. Quando sono sporchi vanno messi nella cesta. È lì apposta. Invece lui li lascia in giro, e io non capisco mai se sono da lavare. Poi mi fa: “Ma quella roba lì, non me l’hai lavata?”. “Eh, non erano nella cesta e non li ho lavati”.
Giacomo, in una delle ultime conferenze stampa stagionali il tuo allenatore al Sassuolo, Dionisi, ha detto: “Raspadori è l’anima della squadra. Se un compagno cade, in tutti i sensi, lui lo soccorre”.
“È uno dei complimenti più belli perché aiutare i compagni è qualcosa che ho sempre cercato di fare, fin da bambino. A modo mio, da leader silenzioso. Mi piace essere da appoggio, da esempio: coi fatti invece che con le parole."
Il discorso vale anche per i colleghi più anziani?
“Quando mi sono affacciato nel calcio dei grandi, proprio al Sassuolo, ho preso Magnanelli, il capitato storico, come punto di riferimento. Sia lui che Peluso, un altro dei “vecchi” del gruppo, hanno la mia stessa energia nel lavoro e mi hanno confidato di aver continuato ad alimentarla in questi anni anche grazie al fatto che vedessero quella “luce” pure dentro di me”.
La generosità è qualcosa di innato oppure si può imparare col tempo?
“Se c’è la volontà si può imparare tutto. Poi, ho avuto la fortuna di avere ottimi esempi in famiglia. Sì, direi di essermi sempre comportato da persona generosa”.
A proposito: abbiamo detto cosa ti ha trasmesso mamma, ma papà?
“Da lui ho preso la passione nel fare le cose. Se inizio una cosa, devo metterci il cento per cento e finirla, mi piaccia o no. Quando in casa c’era qualcosa da aggiustare, che fosse un mobiletto o altro, papà mi diceva: “Dài, mettiti vicino a me e facciamola insieme”. Questo mi ha insegnato a dare tutto per raggiungere un obiettivo e realizzare le mie ambizioni”.
Eri generoso anche coi compagni di classe? Insomma: passavi il compito in classe?
“Se potevo, aiutavo. Ma sono stato anche aiutato”.
In quali materie offrivi e in quali invece chiedevi aiuto?
“Le mie preferite erano le umanistiche, in matematica e fisica ho sempre avuto qualche difficoltà”.
Clarence Seedorf diceva di sé: “Sono nato pronto”. Vale anche per te?
“Mi sono sempre sentito al posto giusto, centrato e in equilibrio. Ho sempre pensato che quando fai tutto ciò che è nelle tue possibilità per migliorare e non hai nulla da rimproverarti, ti senti pronto. È chiaro che ci sono dei momenti in cui hai meno certezze, ma io sono riuscito a non sentirmi mai troppo sicuro nei momenti belli e mai troppo inadatto in quelli negativi”.
E, nel tuo caso, quando hai perso consapevolezza? Dopo tre panchine di fila, per esempio?
“Tre panchine di fila possono anche non dipendere da te, dal tuo rendimento. Piuttosto, a me è successo quando per una-due settimane sentivo di non essere abbastanza lucido e reattivo in allenamento. Ne sono uscito col lavoro, senza cullarmi al pensiero che stavo facendo le cose di sempre e quindi prima o poi sarebbe passata, ma cercando invece di capire i motivi per cui non ero me stesso”.
Nella prima intervista a Sportweek, giusto un anno fa, dicesti: “Mio fratello Enrico mi è stato di aiuto perché grazie a lui ho iniziato col calcio, ma anch’io gli sono utile perché lo sprono a trovare la sua strada”. Ci è riuscito?
“Sì: ha aperto il brand di moda come desiderava, ma deve ancora capire cosa vuole dalla vita. Io sono più piccolo ma ho un carattere più deciso, forse perché ho dovuto prendere abbastanza presto decisioni importanti sul futuro. Rispetto a me, Enrico prende le cose con più leggerezza. Io sono molto esigente con me stesso: se anche sbaglio solo un esercizio in allenamento, ci penso e ripenso, mi macero dentro. So che in questo senso dovrei migliorare, perché a volte esagero, ma so anche che rappresenta un mio punto di forza".
Hai accennato alla moda: tu compri solo griffato o dove capita?
“Mi piace vestirmi bene, con mio fratello c’è uno scambio continuo di impressioni e informazioni. Spendo soprattutto in pantaloni e maglieria”.
Cos’è cambiato in te rispetto a un anno fa, sempre che qualcosa sia cambiata?
“Ho giocato di più, in una squadra organizzata e di livello: la continuità mi ha dato consapevolezza.
Trequartista dietro a una punta centrale è il tuo ruolo ideale?
“Mister Dionisi mi ha cucito addosso una posizione che mi permette di “legare” il gioco e di fare quel passo indietro rispetto a un centravanti strutturato come Scamacca o Defrel per poi inserirmi negli spazi aperti da loro”.
Da bambino guardavi fuori dal finestrino del pullman che ti portava all’allenamento e sognavi di fare il calciatore. Oggi, quando guardi fuori mentre vai alla partita, cosa sogni?
“Io vivo un sogno ogni giorno perché faccio quello che mi piace, seguo la mia passione. E ho voglia di continuare a sognare”.
A 14 anni dicesti no a Inter e Roma perché convinto che al Sassuolo saresti potuto crescere senza pressioni. Oggi quelle pressioni hai imparato a sopportarle abbastanza da provare a fare il salto in una grande?
“Quando dai tutto quello che puoi e vivi la realtà con equilibrio, alla fine ti senti pronto. Io non so quale sarà il mio futuro, ma di sicuro io mi sento pronto, anche davanti a un eventuale cambiamento”.
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Settantacinque partite in A: alla tua età non sono tanti a poterle vantare. Qual è quella di cui ricordi ogni minuto?
“Quella dei due gol a San Siro contro il Milan, un anno fa, anche perché entrai nel secondo tempo e di minuti da ricordare non ce ne sono molti…. Poi l’esordio, il 26 maggio di tre anni fa contro l’Atalanta. Voglio ancora ringraziare De Zerbi, il mio allenatore di allora, che ha sempre mostrato stima e affetto nei miei confronti, quando sarebbe stato più facile invitarmi a lasciare Sassuolo per fare esperienza altrove”.
Hai imparato a rubare il portafogli, come ti invitava a fare lui?
(ride) “Sì, sì. “Sei troppo un bravo ragazzo, devi diventare più furbo”, mi disse un giorno in allenamento. Aveva ragione e sono cambiato”. Cioè, adesso vai per terra appena un difensore ti sfiora? “No, quella sarebbe una scorrettezza. Ho imparato a intuire l’attimo in cui il difensore può fare un errore, e sfruttarlo a mio vantaggio”.
L’attaccante più forte che hai visto dal vivo?
“Mertens. Mi colpisce la sua facilità di tiro, il sapersi procurare occasioni da gol e la disponibilità nell’aiutare la squadra. Dico lui anche perché gli somiglio per caratteristiche”.
Il difensore che ti ha fatto soffrire di più?
“Koulibaly. Il più completo dal punto di vista fisico e tecnico”.
Tutti parlano di te come di “un bravo ragazzo”. Non è che alla fine rischi di stufare e diventare antipatico?
(ride) “Spero di no. Spero soprattutto di essere credibile: io sono questo. Ciò che si vede non è quello che voglio far vedere, ma quello che sono”.
Ma un difetto, almeno uno, ce l’hai?
“Se la partita è andata male, sono, diciamo, un po’ irritato. Ho bisogno di un’oretta per sbollire e riordinare le idee”.
Cosa fai, ti chiudi in camera?
“Gradisco che non mi si facciano troppe domande”.
Elisa non ti fa la pagella?
“No, non lo fa nessuno in famiglia. Guardano la partita in tv, la nonna esce dalla stanza ogni volta che sono a terra e poi si fa raccontare dal nonno. Alla fine mi chiedono solo se mi sono divertito”.
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