Parola a mister Roberto De Zerbi. L'allenatore del Sassuolo Calcio è stato intervistato da Nero&Verde per celebrare le 100 panchine in neroverde, traguardo tagliato contro il Napoli. Il tecnico ha parlato nella seconda parte di 'De Zerbi racconta' affrontando vari temi. Ecco le sue parole: "Il video nella mia metodologia di lavoro è importante, non ne abuso ma è importante perché il mio tarlo, come allenatore, è sempre stato lo stesso, di capire attraverso quali strumenti, quali parole, quali forme, la mia idea possa essere capita dai giocatori. Il video è visivo quindi arriva primo ma anche il mio modo con cui parli o lo prospetti è importante, così come la pratica. Il video poi senza la pratica non lo vedi mai in maniera concreta".
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Quali immagini conserva maggiormente di questa avventura a Sassuolo?
"Io nel mio telefonino conservo le immagini di tutte le squadre che ho allenato. Ho le immagini del Darfo Boario, del Benevento, del Foggia e del Sassuolo. Tirerei fuori due immagini del Sassuolo e non ci ho pensato nemmeno tanto: la prima è l'azione che porta al rigore con l'Inter, al primo anno, un'azione strepitosa partita da dietro, Bourabia, Ferrari, Rogerio, Boateng; la seconda sul 3-3 con la Juve, dove portiamo Traore a tu per tu con Szczesny, non so quanti passaggi abbiamo fatto, dove c'erano tre-quattro aspetti del calcio che io amo, che sono l'alternare la velocità di manovra, se ti trovi il muro davanti non devi andare a sbattare e devi giocare orizzontale o tornare indietro per superare l'ostacolo, non perché non sai cosa fare, poi la verticalizzazione improvvisa perché avevamo saltato una linea della Juve, poi una combinazione tecnica come l'uno-due che ora si vede troppo poco, tanti anni fa negli oratori se ne vedevano migliaia, poi il tutto fatto da giocatori di qualità. Queste due azioni le tirerei fuori come qualità di gioco. Se penso a qualcosa che ci ha segnato penso agli ultimi 13 minuti di Torino, non li dimenticherò mai, come ho ancora ben presente il boato del Dall'Ara quando subimmo un gol di Destro. Quel gol nasce da Rogerio che ha gestito male il pallone, Lirola non salta di testa e Destro lo sovrasta facendo il 2-1. Allenando tanti giovani, Lirola e Rogerio erano appena 20enni, presi sotto braccio Rogerio, ma da fratello maggiore, da padre, spiegandogli che certe volte il non voler prendere gol va oltre le qualità, in quel momento lì non eravamo attaccati al risultato come poi siamo diventati. Ad esempio quest'anno con il Benevento si percepiva che non avremmo mai preso gol perché non volevamo prenderlo. La crescita di Rogerio passa da quei momenti lì. A Bologna, gol subito, tanto anche se ci fa gol non ci sposta e invece col Benevento il gol non lo subisco e allora vado di testa dove il fisico e la logica lo faceva essere quasi impossibile".
Quando ha perso le staffe?
"Quando non esisteva più un domani nella mia testa è stata l'ultima partita a Torino, per come si è verificata, non perché una squadra non possa perdere una partita con 2 gol di vantaggio ma il modo mi ha fatto perdere la testa".
Quelle più felici?
"Ce ne sono state tante. Il 2-2 a Torino con la Juve, le vittorie in trasferta dove sembrava tutto scontato, ad esempio Frosinone il primo anno, a Brescia l'anno scorso perché era una partita trappola, a Crotone quest'anno. Il 4-3 col Bologna mi ha dato felicità ma ci siamo svegliati troppo tardi e c'è una parte di gara non mi era piaciuta. A volte anche le sconfitte mi hanno reso contento perché ho visto i ragazzi dare tutto, non esco contento dallo stadio solo quando si vince. L'ultima con il Milan in casa ad esempio mi ha fatto arrabbiare da morire perché abbiamo preso gol dopo 6 secondi. Ci sono partite che ti segnano e anche quella è una cosa come la partita di Torino che mi rimangono impresse nel cervello e nel cuore, molto più delle volte in cui abbiamo fatto delle grandi partite".
Il rapporto con i calciatori?
"Io ai miei calciatori gli chiedo sempre di andare oltre e a volte mi dispiace perché non voglio che possano pensare che non mi rendano contento o non li apprezzi. Il pensiero che loro non si sentano apprezzati mi fa star male. Mi hanno dato una marea di soddisfazioni ma già quando proviamo delle cose e vengono riportate sul campo, questa è la magia dell'allenatore. Il fascino dell'allenatore è che tu guidi un gruppo di persone rispettandone le qualità cercando di darne una linea comune e quando ripropongono la domenica un atteggiamento tattico, un'assunzione di responsabilità, è sempre motivo d'orgoglio".
Ci sono calciatori che le hanno insegnato qualcosa?
"I calciatori, quasi tutti mi hanno insegnato tanto, non solo di calcio. Magnanelli è un maestro vivente sull'auto motivazione. Come riesca a motivarsi stando sempre nello stesso ambiente, avendo raggiunto 500 partite, avendo dimostrato tutto quello che doveva dimostrare e nonostante quello viene al campo motivato, si gioca la partita con la poesia, come se fosse l'ultima partita, questo è un altro aspetto importante perché uno deve giocare tutte le partite come fosse l'ultima ed è importante e questo è un insegnamento anche per me".
Lei è copiato dagli altri allenatori?
"Non so se sono copiato, lo devono dire gli opinionisti. Tutti studiano. Io studio altre squadre, anche non del nostro campionato, come mia crescita e ho preso un sacco di spunti dagli altri. Non ho copiato perché voglio essere me stesso, mi piace essere autentico e copiare vorrebbe dire non essere, vorrebbe dire che quando ti trovi con i ragazzi e gli vai a spiegare qualcosa non lo sai mai fino in fondo perché se l'idea viene da te tu sai la radice, le sfaccettature, se tu lo copi l'idea non è partita da te e non riesci nemmeno a essere così efficace nel trasferimento".
La frase se proprio devo affogare preferisco affogare nell'oceano e non nella vasca da bagno?
"Se proprio devo affogare preferisco affogare nell'oceano e non nella vasca da bagno o nella pozzanghera' se preferite, la frase che tanto vi piace, è un mio cavallo di battaglia, mi rappresenta al 100%, che è la stessa cosa di voler cercare di essere protagonista sempre, anche se sulla carta non ci sarebbero i presupposti per esserlo, il partire per essere sempre protagonista, per determinare le cose e non subirle, per andare oltre le aspettative, per scrivere qualcosa di importante che rimanga impresso per tutti è un mio cavallo di battaglia. Nel calcio non mi interessa starci, mi interessa starci a mio modo, in qualsiasi panchina e categoria. Lo dico anche ai ragazzi. Hai la consapevolezza che avremmo potuto fare di più ma a seconda di quel ragionamento dell'annegare, di non accontentarsi. Ma questa era la filosofia anche di Giorgio Squinzi, altrimenti non avrebbe avuto la visione di prendere il Sassuolo in C2, portarlo in Serie A e uscire vincente da San Siro".
Se dovesse trovarsi di fronte un extraterrestre come descriverebbe il Sassuolo?
"Non si può ridurlo solo al calcio perché questa è una società particolare, un ambiente particolare. Non è un posto facilissimo come adattamento per uno che ha fatto sempre calcio perché ci sono degli elementi che non trovi da altre parti ed elementi che trovi da altre parti e qui non li trovi. Devi capire in che contesto sei. Da società più piccola cerchi di sgomitare tra colossi calcistici ma hai un'identità forte. Il Sassuolo sa chi è, sa cosa vuole e sa qual è la sua strada. Qui ci sono elementi che non trovi, più vicini alla realtà calcistica, ma da altre parti non sanno cosa vogliono, non sanno chi sono, non sanno cosa fare per andare avanti, ma come idee, è una cosa che esclude l'aspetto economico. I soldi sono importanti ma le idee sorpassano i soldi".
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